Conoscere e capire approfonditamente i principi biomeccanici che regolano la colonna vertebrale è cosa essenziale per chi decide di intraprendere la professione del preparatore fisico o per chi decide di allenarsi da solo.
Nel corso dell’evoluzione le funzioni del rachide si sono trasformate passando da “struttura di collegamento” tra arti inferiori e posteriori alla funzione di “colonna portante” antigravitaria, in cui l’azione statica (mantenimento della stazione eretta) e quella dinamica (deambulazione) si integrano reciprocamente; così la sua configurazione anatomica in relazione alle sue capacità funzionali, sono espressioni paragonabili ai più sofisticati principi ingegneristici e biomeccanici.
L’ottimizzazione della sua funzionalità nel corso della filogenesi si è sviluppata anche grazie alla formazione sul piano sagittale delle curve fisiologiche e alla specializzazione dei rapporti con la gabbia toracica e con il bacino.
E’ fondamentale conoscere la sua strutturazione anatomica generale, delle sue vertebre, dei sui dischi e dei carichi che gravano a questi livelli, i suoi rapporti con le varie catene muscolari, ecc.
I dischi intervertebrali
Tra un corpo vertebrale e l’altro si trova un disco intervetebrale, che assieme ai legamenti lunghi e brevi, alle giunzioni tra i processi articolari e ai muscoli lunghi e brevi vanno a formare le articolazioni delle vertebre.
Si tratta di strutture fibrocartilaginee formate da un anello fibroso e da un nucleo polposo che nei giovani contiene circa l’80% di acqua. Per questo motivo, almeno fino a quando mantiene queste caratteristiche, il disco è soggetto alle leggi della pressione idrostatica, in particolare alla legge di Pascal, secondo la quale la pressione è equamente distribuita su tutte le superfici.
La pressione che viene esercitata sui dischi varia a seconda dei tipi di movimenti e delle posture che si assumono. (Figura 1)
Il mantenimento ottimale delle curve fisiologiche, in particolare di quella della lordosi lombare, non implica eccessivi carichi da sopportare. Viceversa, durante i movimenti di flessione o torsione della colonna, il nucleo polposo del disco viene spostato verso il lato opposto ad essa andando a sollecitare una determinata profusione dell’anello fibroso.
Questa situazione può sollecitare le terminazioni nervose o comprimere le radici spinali provocando così l’insorgere delle stomatologhe dolorose.
Figura 1
Cailliet (1973) ha dimostrato, tramite l’inserimento all’interno del nucleo polposo di un ago fornito di manometro, che la pressione discola varia a seconda della postura.(Figura 2)
Figura 2
Il minor carico si viene a realizzare nella posizione supina; a seguire la postura eretta e per finire quella seduta.
Quest’ultimo risultato contrasta l’opinione comune popolare che con la quale effettuare esercizi da seduti è molto più sicuro che farli in piedi; questo fenomeno non risulta purtroppo molto chiaro anche ai numerosi operatori del settore perché effettivamente è abbastanza difficile avere un chiaro quadro della situazione. La maggior pressione che viene registrata è probabilmente imputabile all’azione di retroversione del bacino che si verifica quando ci si siede, condizione che modifica la linea di pressione dei carichi che non si realizza più con la stessa verticale fisiologica della posizione in piedi. (Figura 3)
Figura 3: L’azione della forza peso in piedi e da seduti. Questa si scompone per la legge del parallelogramma in una forza perpendicolare al disco intervertebrale e in una parallela al piatto vertebrale che tende a far slittare la vertebra superiore su quella inferiore. Da notare come nella posizione seduta si modifichi la traiettoria perpendicolare della forza peso
Sempre a questo proposito, un altro valido contributo ci è fornito da Whired,(Figura 4), il quale interpreta il problema in termini di leve e momenti di forza.
Figura 4
In particolare secondo questo autore, dato che la postura seduta comporta uno spostamento del baricentro in avanti, conseguentemente si realizza un aumento del braccio di leva della forza peso.
Aumentando questo braccio aumenta anche la pressione fiscale soprattutto a livello del tratto lombare.
Forza agente su L3 in diverse situazioni in un soggetto di 70 kg di peso.
Postura o movimento Forza in Kg
- supino, trazione di 30 kg 10;
- supino, gambe tese 30;
- posizione eretta 70;
- camminare 85;
- flettere il tronco da un lato 100;
- sedersi senza appoggio 100;
- esercizi isometrici per i muscoli della parete addominale 110;
- ridere 120;
- flessione in avanti di 20° 120;
- mettersi a sedere dalla posizione supina, gambe tese 175;
- sollevare un carico di 20 kg a schiena eretta, ginocchia piegate 210;
- sollevare un carico di 20 kg flettendosi in avanti, gambe tese 340.
Nell’immagine sottostante viene evidenziata la tendenza errata ad inclinare il tronco in avanti provocando così un allontanamento del baricentro totale T ed un aumento delle distanze del braccio di leva della forza peso. (Figura 5)
Figura 5
Applicando le leggi del momento di forza è possibile quindi risalire alla quantità di queste forze agenti sui dischi intervertebrali. (Figura 6)
Figura 6
P1= peso della parte del corpo posta al di sopra di L3 più il peso del carico esterno;
L1= braccio della leva muscolare, ovvero distanza tra inserzione dei muscoli lombari e fulcro dell’articolazione (braccio di leva interno);
P2= forza dei muscoli estensori della colonna vertebrale;
L2= braccio della leva gravitazionale, ovvero distanza tra il fulcro dell’articolazione e la verticale passante per il baricentro totale (braccio di leva esterno).
Perché il sistema si trovi in equilibrio, si dovrà verificare:
P1 x L1 = P2 x L2,
perciò
P2 = P1 x L1 / L2
la Fa (la forza agente sul disco di L3) = P1 + P2
Sistemi di prevenzione e di riduzione dei carichi
Appare scontato e banale sottolineare che il sistema più redditizio per non fare affrontare eccessivi pericoli alla nostra colonna vertebrale e rappresentato dall’impegno alla corretta esecuzione.
L’espirazione forzata legata al momento più impegnativo dell’esecuzione può risultare importante in questo contesto.
Secondo un interessante studio di due ricercatori sovietici (Zatsiorskjj e Sazonov, 1988), la pressione endoaddominale, o peritoneale, aumenta durante uno sforzo soprattutto quando si abbina una espirazione forzata. (Figura 7)
Figura 7: La pressione endoaddominale nella fase espiratoria abbinata a contrazione della parete addominale.
Come conseguenza del supporto interno, la pressione sui dischi intervertebrali può essere ridotta fino al 40%: questa è prodotta dall’attività dei muscoli della parete addominale, dei muscoli intercostali e del diaframma.
Zatsiorskjj e Sazonov sono gusti a questi risultati introducendo dei manometri nella cavità gastrica e misurandone il livello di pressione che è indicata alla zona peritoneale.
L’utilizzo di una cinta da pesistica è indicata soprattutto quando si devono eseguire sforzi massimali; in questo modo infatti, si riducono le possibilità di fuoriuscita di ernie inguinali, si crea un sostegno esterno al tratto lombare della colonna e si aumenta anche la pressione endoadominale.
Il taping è un sistema di bendaggio a livello articolare che riesce oggettivamente a proteggere da grossi carichi le strutture sottoposte a movimenti a volte antifisiologici e correlati appunto a sovraccarichi funzionali; attenzione però a non esagerare con questo tipo di pratica perché i tendini e i legamenti potrebbero perdere la loro capacità naturale di difesa.
Anche se i pareri sono a volte discordanti, allenarsi o competere dopo aver eseguito un adeguato riscaldamento può contribuire a ridurre le possibilità d’infortunio.
La concentrazione assume in questo contesto un ruolo a dir poco determinante: ecco perché richiamare l’attenzione a questo aspetto dovrà essere basilare nell’impostazione di qualsiasi esercizio. Per ultimo, e non sicuramente in ordine di importanza, il discorso che riguarda gli infortuni che si realizzano durante le fasi di estrema stanchezza o stress.
Non è necessario andare a cercare nelle statistiche delle lesioni sportive per sapere con certezza che un gran numero di patologie si viene a verificare al termine di faticosissime stagioni agonistiche o in prossimità di periodi di elevato stress psico-fisico.